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Una sentenza della Cassazione condanna un camionista di Taranto

Data: 20/01/2004 - Ora: 09:23
Categoria: Cronaca

Minacce, anche il silenzio è reato, si appostava per ore sotto casa dell’ex suocera

Il più delle volte restava in silenzio, sotto la casa di suocera e moglie che gli impedivano di vedere la bambina. Si appostava in modo da essere visto. Dovevano sapere che lui era lì. Qualche volta urlava il nome della suocera: "Maria Teresa". Ora la Corte di Cassazione ha sancito che infastidire la suocera e urlare il suo nome per strada è un reato. Così un camionista tarantino s'è visto condannare al pagamento di una multa di venticinque euro. La quinta sezione penale della Corte ha aperto un precedente nei non sempre semplici rapporti familiari: perché da oggi in poi - questo dice la Cassazione - il semplice atteggiamento irriguardoso del genero, la manifesta dimostrazione di antipatia equivale a una minaccia. «E' una pronuncia nuova che cambia molte cose - ammette l'avvocato Massimo Saracino, il legale del camionista -, perché per minaccia si intende un atteggiamento diretto e qui c'è, da parte del mio assistito, solo la sosta sotto l'abitazione della suocera. Mi domando: dov'è la minaccia?». Protagonista della vicenda Aniello M., 37 anni. La storia comincia nel luglio del 1996 quando Aniello, abbandonato dalla moglie, insiste per vedere sua figlia. Insiste in tutti i modi, ma non la spunta. La moglie, trasferitasi in casa della madre, non accetta, sicché Aniello ci prova e ci riprova. Racconta il suo legale: «Telefonava alla moglie, la raggiungeva a casa della madre e la implorava al citofono, scriveva delle lettere. Niente». Così Aniello decide di appostarsi sotto casa della suocera e una sera comincia a urlare il suo nome. Alla suocera attribuisce evidentemente la responsabilità del suo matrimonio finito a pezzi. E non potendo fare nulla per rivedere la sua bambina cerca un modo efficace per disturbarla. La strategia però ha un risultato inaspettato: la suocera lo invita severamente a stare alla larga e presenta querela. Morrone si ritrova in tribunale e il tribunale di Taranto lo condanna a quindici giorni di reclusione e la Corte di appello conferma la sentenza. Gioca l'ultima carta dinanzi ai giudici della Cassazione. Ne ottiene solo uno sconto. Trattandosi di un incensurato, la Corte cancella la reclusione e gli infligge solo la multa.

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