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Data: 10/06/2008 - Ora: 11:27
Categoria:
Cultura
Si parla di emigrazione salentina in Svizzera
Continuano le riprese del documentario di Donato Nuzzo sull'emigrazione salentina in Svizzera. Lo scorso 7 giugno la troupe sarà a Spoleto per intervistare Dieter Bachmann. Un' andata molto spesso senza un ritorno. Le partenze dei salentini hanno significato questo troppe volte. E quello che è stato, a partire dalla fine degli anni '50, tuttora non riesce a cambiare. L'emigrazione dei lavoratori leccesi al di là delle Alpi sta per essere ricostruita minuziosamente in un documentario che vede la regia di Donato Nuzzo e la produzione di Isidoro Colluto, entrambi di Castiglione d'Otranto, frazione di Andrano. Le riprese in corso di realizzazione sono iniziate nel settembre scorso direttamente in Svizzera, nel cantone tedesco attorno a Zurigo, per poi continuare fino ad ora nel Capo di Leuca. Lo scorso 7 giugno la troupe è stata a Spoleto per intervistare Dieter Bachmann, giornalista freelance svizzero ed ex direttore dell'Istituto di Cultura Svizzera in Italia, con sede a Roma. Già nel 2003, l'Istituto ha dedicato a "tutti gli italiani e le italiane che sono venuti in Svizzera a lavorare e a vivere" una interessante mostra fotografica dal titolo "Il lungo addio", nella consapevolezza che "con un po' di esagerazione ma non troppa, gli italiani sono quelli che hanno letteralmente fatto la Svizzera o, almeno, hanno co-prodotto il suo cosiddetto "miracolo economico".
La presenza degli italiani, inoltre, ha favorito la diffusione di una loro socio-cultura che ha influenzato, non poco, un certo modo di vivere la vita. Oggi assistiamo alla contaminazione di due saperi che ha creato una nuova cultura in Svizzera e questa, senza dubbio, è la cosa più interessante". Il lavoro di ricerca storica, che si completa con lo studio dei rapporti politici tra Italia e Confederazione Elvetica, prende spunto dalla vicenda personale di Luigi Colluto, emigrante castiglionese che nel 1958, con le sue valigie di cartone, sale su un treno carico di speranze ed amarezza. Si ritrova a lavorare prima in agricoltura e poi nelle fabbriche a ridosso delle montagne, in quel di Glarus, piccolo borgo nelle vicinanze di Zurigo, dove negli anni si è formata una vera e propria "colonia" castiglionese, che lì ha portato la sua storia, il suo costume, il suo sentirsi ancora comunità. Il regista ha ripercorso il viaggio in treno assieme a Luigi, fermandosi alla stazione di Chiasso, la dogana divenuta luogo simbolo dell'emigrazione italiana in Svizzera, per poi proseguire nelle baracche- dormitorio accanto al fiume e nei luoghi di lavoro che oggi impiegano altri immigrati. Imbattendosi, puntualmente, in ricordi che si rincorrono e che delineano il lato umano della vicenda, sottaciuto ovviamente dalle fonti ufficiali.
Sono, infatti, gli anni del paradosso italiano, quelli del "miracolo" industriale che tocca solo marginalmente le regioni del Mezzogiorno, quelli che, nonostante l'enorme assorbimento di manodopera nel triangolo dell'industria Torino- Genova- Milano, vedono gli espatri dall'Italia continuare ad aumentare. Subiscono un calo i trasferimenti verso le Americhe, ma raddoppia il flusso verso i Paesi aderenti alla Comunità Economica Europea: Repubblica Federale Tedesca, Lussemburgo, Olanda, Francia. E Svizzera che, pur non facendo parte della Cee, già negli anni '50 è il primo paese di emigrazione italiana al mondo con quasi ottocentomila espatri. Il documentario, che probabilmente sarà in distribuzione a partire dal prossimo autunno, far rivivere, dunque, una delle pagine più significative ma dimenticate della storia salentina. Forse perché l'attualità ne impedisce ancora la collocazione nel passato. Ma sull'emigrazione, che dalla fine degli anni '50 ha interessato buona parte dei lavoratori della provincia di Lecce, bisogna iniziare a riflettere. Una vera e propria diaspora, se si vuole, che ha sparso per il mondo le conoscenze che in millenni si erano forgiate in terra d'Otranto.
E il prezzo pagato è stato davvero elevato, poiché ha portato, innanzitutto, a disgregare il tessuto sociale di intere comunità, oltre a mettere duramente alla prova la capacità di adattamento dei leccesi ad un mondo sicuramente altro. Come sottolinea in una sua dichiarazione lo stesso Bachmann, "all'inizio erano gli uomini ad essere chiamati dagli svizzeri per aiutare a realizzare quella congiuntura economica positiva che ha riguardato il Paese negli anni '50-‘60. Solo in un secondo momento, poi, hanno potuto raggiungerli anche le donne, inizialmente rimaste a casa insieme ai vecchi e ai bambini. Inoltre, lo "statuto degli stagionali" prevedeva che i lavoratori fossero ammessi in Svizzera soltanto per un periodo di nove mesi, trascorsi i quali si era costretti a tornare indietro, rimanendo senza paga per tre mesi. Una situazione creata ad arte per avere disponibilità non di uomini ma di semplice manodopera". Eppure lì si è esportata una dignità del lavoro che ancora oggi è tassello importante della storia elvetica e di quella italiana. L'accurata inchiesta storico- artistica di Donato Nuzzo diventa, quindi, spunto importante perchè la comunità salentina ne prenda coscienza.
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