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Data: 09/05/2008 - Ora: 11:15
Categoria:
Economia
di Francesco Lenoci Docente Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano Presidente Centro Studi socio-economici Donato Menichella
"le province italiane possono essere classificate in pro-cicliche, anticicliche o acicliche";
"con riguardo al turismo, nella provincia di Lecce esercitano una grande attrattività il turismo balneare, il turismo culturale, il turismo rurale";
"le banche locali caratterizzavano in maniera assai consistente la provincia di Lecce, attraverso un rapporto con il territorio fortemente integrato";
"la situazione economico-finanziaria del sistema Salento richiede la presenza di un sistema creditizio in grado di supportarne le aspirazioni".
È mio intento sviluppare le precedenti espressioni, al fine di dare dei contributi operativi sul ruolo dei fattori di contesto e le opportunità del territorio.
Classificazione delle provincia di Lecce. Chiedo preventivamente scusa ai cultori della materia statistica, che ovviamente ha le sue regole, ma non credo alla valenza di certe elaborazioni.
Mi riferisco all'elenco delle province riportato nella "Nota" in oggetto che, arriva ad individuare con precisione le province su cui il rallentamento dell'economia italiana previsto per il 2008:
avrà un impatto alto (sono 42, tra cui Milano, Sondrio, Napoli e Taranto);
avrà un impatto medio-alto (sono 28, tra le quali Bergamo, Bari, Brindisi, Foggia e Lecce);
avrà un impatto medio-basso (sono 33, tra cui Pordenone, Cremona e Agrigento).
Non posso credere alla valenza di tale previsione per tanti motivi. Mi limito a citarne uno: perché sono uno studioso di gruppi di imprese (a fine mese usciranno due libri sul consolidato civilistico e fiscale - 1200 pagine e un cd) e i gruppi non possono essere inquadrati perfettamente nelle province.
Non voglio fare teoria: porto un esempio concreto. Sono amministratore unico di una holding, con sede a Milano, che controlla 6 imprese con sede a Martina Franca. I centri operativi e logistici di tali imprese sono a Milano, Martina Franca, Napoli, Bari e Bergamo. Come si fa a ripartire i dati tra le province interessate, dato che la tesoreria è di gruppo e le imposte vengono pagate sulla base del consolidato fiscale? Pretendere di suddividere i risultati gestionali di un gruppo facente capo ad un unico soggetto economico è operazione plausibile solo in statistica, non nella realtà economica e finanziaria!
Tornerò a parlare di statistica nel pomeriggio presso la sede di Links Management & Technology, quando affronterò il tema della "pratica elettronica di fido" ai fini di Basilea 2.
Dove voglio arrivare? . . . . Voglio semplicemente affermare che, prima di confidare su dati statistici, occorre leggere attentamente "le avvertenze per l'uso", che ne fanno emergere con immediatezza una valenza ridotta.
Il turismo nel Salento. È un argomento su cui sono preparato. Perché vi starete chiedendo? . . . . È presto detto:
perchè a Milano, il 21 febbraio 2008, ho preso parte alla presentazione di "Gemme d'Italia", un'iniziativa di promozione turistica che accomuna Santa Maria di Leuca, Porto Cervo, Portofino, Positano e Taormina;
perché il 23 febbraio 2008, presso la Sede dell'Associazione Regionale Pugliesi di Milano, di cui sono Vicepresidente, si è svolta una conferenza stampa per presentare il secondo "Educational" per giornalisti nel Salento, vale a dire un percorso che propone turismo balneare, siti archeologici, barocco e enogastronomia;
perché, a Milano, il 27 marzo 2008 sono stato alla conferenza stampa, organizzata dall'Unione Italiana Vini, di presentazione di "Enotria 2008". Ovviamente si parlava di vino: un prodotto straordinario portavoce dei valori del nostro Paese nel mondo. Sapete qual è stata la bottiglia di vino che quel giorno hanno dato a noi giornalisti? . . . . Un favoloso "Rosato del Salento";
perché il 13 maggio 2008, a Milano, all'Università Bocconi, assegneremo (faccio parte della giuria) il Premio "Ambasciatore di Terre di Puglia" inter alia a Sergio Blasi, propulsore del progetto territoriale grecanico.
Perché il Salento è famoso? Lo è anche in virtù della "Notte della Taranta", dei suoi vini, delle sue pietanze e dei suoi prodotti tipici.
Ma permettetemi di allargare il discorso.
Oggi i Paesi del mondo sono poco meno di 200. Solo 30 sono considerati così avanzati economicamente da partecipare all'OCSE . . . . e l'Italia ne fa parte.
Di questi 30 Paesi, solo 8 sono considerati così ricchi e prestigiosi da essere ammessi in un club internazionale ancora più esclusivo: il G8 . . . . e l'Italia ne fa parte.
Quali sono i fattori che consentono al nostro Paese una performance così eccellente?
Non certo la vastità del nostro territorio: . . . . siamo appena un ventottesimo del Brasile, un trentesimo degli Stati Uniti, un sessantesimo della Russia.
Non certo la quantità di popolazione: . . . . siamo appena al ventitreesimo posto nel mondo.
Neppure la disponibilità di materie prime, di cui siamo scarsissimi.
E nemmeno la diffusione della nostra lingua, parlata appena da una ottantina di milioni di persone nel mondo, contro i 3 miliardi che parlano inglese.
Ciò che ha consentito agli italiani di recuperare la scarsità di elementi strutturali è:
la nostra creatività;
il nostro stile di vita;
la nostra capacità di cogliere le preziose opportunità offerte dal passaggio epocale da una società industriale, caratterizzata dalla produzione in grandi serie di beni materiali, a una società post-industriale, centrata sulla produzione di beni immateriali come le informazioni, i simboli, i valori e l'estetica.
Questa nostra capacità, a sua volta, è determinata da una sintesi . . . . unica al mondo:
di senso del tempo e di culto per la memoria;
di eleganza e di bellezza.
Tali fattori concorrono a sostenere il made in Italy, grazie alla capacità creativa, alla propensione imprenditoriale, alla dotazione culturale, al gusto della qualità, alla consapevolezza della propria unicità, alla capacità di cogliere e soddisfare i desideri irrazionali, alla forza della tradizione, alla vocazione estetica, allo stile di vita, alla flessibilità.
Non ci mancano, ovviamente, i punti di debolezza: un certo provincialismo, unito al campanilismo e alla frammentazione, una proverbiale disorganizzazione, i difetti connaturati ai settori protetti dall'economia, le carenze del settore pubblico, la difficoltà del settore privato a coniugare la fantasia con la concretezza e con la competenza, una mancanza di chiarezza che a volte sfuma nell'ambiguità1.
Un nostro difetto grave è l'atteggiamento rinunciatario quando il risultato è scontato, quando si gioca in casa, sul terreno amico. Mi riferisco al settore del turismo. L'Italia:
occupava il terzo posto nel 1950;
era salita al primo posto nel 1970;
è scesa al quarto posto nel 1990;
è retrocessa al quinto posto nel 2004;
è retrocessa al sesto posto nel 2006.
Cosa occorre fare per non perdere altre posizioni? . . . . Occorre cogliere tutte, ma proprio tutte, le occasioni.
A Milano, come sappiamo tutti, il 31 marzo 2008 è stato assegnato EXPO 2015.
Sono previsti quasi 20 miliardi di euro di investimenti, tra costo del maxi evento (circa 4 miliardi), finanziamenti necessari per le infrastrutture (10 miliardi) e indotto (almeno altri 6 miliardi).
A ciò vanno aggiunti 65 mila nuovi posti di lavoro stimati nel quinquennio 2010-2015 e 29 milioni di turisti attesi nei sei mesi della manifestazione.
Il tema proposto per l'EXPO 2015 "Nutrire il pianeta, energia per la vita" ha il valore di un manifesto programmatico, una dichiarazione d'intenti: dopo la moda e il design, l'editoria e la finanza, Milano ha deciso di puntare sull'agroalimentare, sulla riscoperta della terra e dell'ambiente.
Permettetemi una domanda provocatoria: per il Salento è stato un bene che abbia vinto Milano, o sarebbe stata preferibile la vittoria di Smirne?
Per addivenire ad una risposta, occorre prima precisare che per far crescere di più l'economia della provincia di Lecce e delle altre province pugliesi non si può chiamare in causa quella che risulta essere, da qualche anno, la parola maggiormente utilizzata.
Quella parola è . . . . "coraggio".
Il ricorso al "coraggio" è del tutto fuori luogo!
È mio profondo convincimento che per conseguire un obiettivo occorrono sostanzialmente tre cose:
istruzione,
preparazione,
determinazione.
Con il "coraggio" non si cresce, non si ha un futuro!
Provo a spiegarmi.
Per quanto concerne "l'istruzione" faccio ricorso alle parole del Governatore di Banca d'Italia:
"L'istruzione allenta i vincoli economici e culturali che legano gli individui al proprio ambiente di origine. Aumenta le probabilità che i più capaci e meritevoli accedano a funzioni di governo nell'organizzazione dei fattori produttivi"2.
Con riguardo alla "preparazione" ritengo doveroso richiamare la valorizzazione del capitale intellettuale, che non è solo capitale umano (che non ha mai fatto difetto a tanti nati nella provincia di Lecce e nelle altre province italiane), ma anche capitale relazionale e capitale organizzativo (di cui - sovente - siamo deficitari).
Resta da spiegare cosa intendo per "determinazione". Utilizzo per farlo la risposta che diede Julio Velasco qualche anno fa ad un giornalista, che gli chiedeva come facesse a scegliere, a parità di tecnica, un pallavolista per l'allora invincibile nazionale italiana. Gli rispose: "Semplice . . . . scarto quelli che hanno gli occhi di bue e prendo quelli che hanno gli occhi della tigre".
E veniamo alla risposta. Che bella è stata la vittoria di Milano!
Perché dico questo . . . . perché, a mio avviso, a differenza di quanto affermato nella "Nota" in oggetto, nella provincia di Lecce debbono esercitare una grande attrattività non solo il turismo balneare, non solo il turismo culturale, non solo il turismo rurale . . . . ma, anche e soprattutto, il turismo religioso.
Un dato per tutti: il turismo religioso porta a Lourdes ogni anno 6,5 milioni di persone.
La Puglia, lo sappiamo tutti, ha avuto dal Padreterno due grandi Doni: Padre Pio e don Tonino Bello.
A Milano in sei mesi verranno 29 milioni di persone: capite che se vogliamo far proseguire, ipotizziamo a 6 milioni di turisti, il viaggio fino a San Giovanni Rotondo e Alessano occorrerà adoperarsi seriamente: non c'è un solo attimo da perdere e a tale iniziativa debbono dedicarsi persone istruite, preparate e determinate.
I temi dell'EXPO 2015 saranno: l'agroalimentare, la riscoperta della terra e dell'ambiente. Sono temi che le province pugliesi possono affrontare con successo: ce li abbiamo nel dna. Ma ancora una volta occorrerà adoperarsi intelligentemente, chiamando, ad esempio, a raccolta tutti i talenti pugliesi che, sappiamo bene, per la massima parte non risiedono più e non lavorano più in Puglia.
Le banche locali caratterizzavano in maniera assai consistente la provincia di Lecce. Cosa lascia intendere questa frase riportata nella "Nota" in oggetto: . . . . fa capire che la maggior parte delle banche private del Salento appartengono al passato. La domanda che sorge spontanea è . . . . perché?
Perché se non cresci, se non fai innovazione, non hai futuro . . . . neanche se sei una grande banca!
Due esempi per tutti. Nel 1969 c'erano due banche italiane, protagoniste a livello mondiale (occupavano il decimo e il dodicesimo posto): COMIT e BNL. Ebbene:
COMIT è stata "annacquata" (garbato eufemismo) in Banca Intesa e adesso in Intesa Sanpaolo;
BNL, dopo aver resistito a Banca MPS, Banco di Bilbao e Unipol . . . . è finita in mano francese (BNP Paribas).
A Bari, il 19 gennaio 2008, il Governatore Mario Draghi, parlando della crisi dei fondi comuni italiani, ha richiamato l'industria del risparmio affermando che occorrono adeguate risorse finanziarie per raggiungere, per via interna o tramite acquisizioni, le soglie dimensionali, la capacità di innovazione e il livello di efficienza necessari per competere efficacemente sul mercato internazionale.
Non mi risulta che ci sia stata da parte delle banche pugliesi una risposta adeguata.
La situazione economico-finanziaria del sistema Salento richiede la presenza di un sistema creditizio in grado di supportarne le aspirazioni. Sono oltremodo convinto che la citata affermazione conservi la sua valenza anche per le altre province pugliesi, per il Mezzogiorno d'Italia e per l'Italia intera.
Per dimostrarlo, ho bisogno di allargare il discorso.
Un primo punto fermo. Viviamo in un'epoca in cui si è avverato ciò che un timido ed eccentrico docente di matematica pura aveva previsto nel 1896, nel libro "Attraverso lo specchio". In precedenza aveva scritto "Alice nel Paese delle Meraviglie". Il suo nome è Lewis Carroll.
Nel Regno della Regina Rossa per mantenere il proprio posto, occorreva . . . . come adesso . . . . correre a più non posso; per andare da qualche altra parte, occorreva . . . . come adesso . . . . correre almeno il doppio.
Per qualche minuto Alice stette lì senza parlare, a guardare la campagna in ogni direzione . . . . e si trattava di una campagna veramente curiosa. C'era un certo numero di ruscelletti sottili che l'attraversavano in linea retta da un lato all'altro, e le fette di terreno così limitate erano divise in tanti quadrati da un corrispondente numero di piccole siepi verdi, che andavano da un ruscello all'altro.
"Ma guarda, è segnata proprio come una grande scacchiera!" disse Alice. "Non mi dispiacerebbe fare la Pedina . . . . benché naturalmente più di tutto mi piacerebbe essere una Regina".
Scoccò un'occhiata alquanto timida in direzione della Regina vera (la Regina Rossa) mentre pronunciava queste parole, ma la sua compagna si limitò a sorridere amabilmente e a dire: "Presto fatto. Puoi fare la Pedina della Regina Bianca, se vuoi . . . . sei nella seconda casella: quando arriverai nell'ottava casella diventerai Regina".
In quel preciso momento si misero a correre.
Alice non riuscì mai a capire, ripensandoci in seguito, come avevano cominciato: ricordava solo che correvano tenendosi per mano e la Regina andava così veloce, che al massimo lei riusciva a tenerne il passo.
E la Regina continuava a gridare: "Più svelta! Più svelta!" ma Alice sentiva di non poter correre più di così e le mancava perfino il fiato per dirlo.
La parte più curiosa della faccenda era che gli alberi e le altre cose intorno a loro non si spostavano minimamente: per quanto corressero, era come se non superassero mai nulla.
"Mi domando se non sarà che ogni cosa si sposta con noi" pensava la povera Alice, assai perplessa.
E la Regina parve indovinare quello che pensava, perché gridò: "Più svelta! Non cercare di parlare!"
"Ecco! Ecco!" gridò la Regina. "Più svelta! Più svelta!"
E corsero tanto che alla fine sembrò quasi che si levassero in volo, senza più toccare il terreno con i piedi, finché d'un tratto, proprio quando Alice stava per raggiungere il colmo della fatica, si fermarono e Alice si trovò a sedere per terra, senza più fiato e con la testa che le girava.
La Regina l'appoggiò contro un albero e disse in tono gentile: "Ora puoi riposarti un poco".
Alice si guardò intorno molto sorpresa. "Ehi, ma secondo me siamo state tutto il tempo sotto quest'albero! È tutto esattamente com'era prima!"
"Certo!" disse la Regina: "perché, come dovrebbe essere?"
"Beh, al paese nostro" disse Alice, sempre con un po' di fiatone "in genere si arriva in un altro posto . . . . se si corre per tanto tempo come abbiamo fatto noi".
"Che paese lento!" disse la Regina. "Qui, invece, vedi, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte devi correre almeno il doppio3".
Un secondo punto fermo. Per ottenere un duraturo successo l'impresa, oltre a sapere e saper fare, deve . . . . farlo sapere.
Il nostro sistema industriale è caratterizzato dalla presenza di un numero rilevantissimo di micro e piccole imprese e da un numero relativamente ristretto di medie e grandi imprese. Si calcola che in Italia esistano circa 26.000 imprese con più di 10 milioni di euro di ricavi e solo 4.500 con più di 50 milioni.
Le medie imprese non amano essere visibili. Spesso, infatti, sono guidate da imprenditori riservati, che non si aspettano alcun vantaggio da una maggiore notorietà personale e dei propri modelli di gestione4.
Si tratta di un errore blu, perché la notorietà è essenziale, indispensabile, necessaria per competere nei settori di riferimento del made in Italy.
Che cosa occorre fare? In estrema sintesi:
l'impresa deve dotarsi di risorse umane che sanno, ossia che sappiano individuare nuove opportunità di crescita e di riduzione dei costi, sappiano velocizzare la produzione e la distribuzione e sappiano fidelizzare sempre di più la clientela;
le risorse debbono saper fare, ossia debbono essere capaci di passare con successo dalla teoria alla pratica delegando in maniera adeguata (sapendo far fare);
last but not least, affinché si autoalimenti un circolo virtuoso, le risorse debbono far sapere con i media più idonei tutto quanto precede. Mutuando un'espressione cara alla "tecnica bancaria", mi piace affermare che la comunicazione ha "un effetto moltiplicatore".
Un terzo punto fermo. Chi si occupa di fornire i capitali per lo sviluppo agli attuali imprenditori, nonché ai numerosi dirigenti, ricercatori e giovani con idee innovative che vogliono diventarlo?
Nei mercati finanziari anglosassoni, un po' per esigenze di legge, un po' per tradizione, le banche hanno sempre limitato il loro intervento nel capitale di rischio delle imprese clienti. In compenso, mercati azionari molto sviluppati e operatori specifici di venture capital e di private equity hanno spesso fornito tutte le risorse necessarie alle nuove imprese e a quelle destinate a crescere.
I mercati finanziari mediterranei, al contrario, sono stati tradizionalmente più limitati e quasi privi di operatori specializzati nel far crescere imprese, per poi riversarle sul listino di Borsa.
In verità, in Italia si è avuto negli ultimi anni un significativo sviluppo della disponibilità di capitale di rischio attraverso il private equity, con la creazione di numerosi nuovi fondi chiusi di investimento in capitale di rischio. Tuttavia, sulla base di varie considerazioni, è possibile affermare che la risposta alle sempre maggiori esigenze di risorse finanziarie delle imprese italiane non potrà essere fornita attraverso l'intervento del solo private equity.
E, allora, occorre chiedersi: quali leve sono oggi azionabili dagli imprenditori per dotarsi dei capitali necessari allo sviluppo e alla necessità di competere in un mondo che continua a cambiare?
La risposta può provenire dall'utilizzo congiunto di un insieme di strumenti e comportamenti aziendali5.
Ma è inutile farci soverchie illusioni. In un sistema produttivo come quello italiano, basato sulle piccole e medie imprese, il credito bancario svolge un ruolo fondamentale e, per molti versi, insostituibile.
L'opacità informativa, che caratterizza gran parte delle unità produttive di minori dimensioni, fa del ricorso agli intermediari creditizi il canale meno costoso per ottenere risorse esterne. Per un'ampia frazione delle imprese italiane il rapporto con le banche rimarrà centrale anche negli anni a venire6.
Mi avvio alle conclusioni.
Come è emerso in precedenza, l'economia della provincia di Lecce e delle altre province italiane non gode di buona salute: si limita ad avanzare lentamente. Da adesso in avanti, ha bisogno di accelerare la corsa e di approfondire la ristrutturazione del suo sistema produttivo per recuperare i ritardi accumulati nel passato.
Il problema è . . . . come si fa ad accelerare la corsa?
Un quarto punto fermo. È fondamentale in questa difficile fase di transizione della nostra economia verso una crescita rapida e durevole il sostegno del settore creditizio. Concordo completamente con quanto affermato nella "Nota" in oggetto.
Volendo essere propositivi, ho predisposto un programma di lavoro. Il sistema creditizio:
deve assecondare le nuove iniziative nei settori del made in Italy, gli investimenti in ricerca e sviluppo;
deve promuovere l'apertura del capitale delle imprese a operatori idonei ad aumentare e riorientare la capacità produttiva;
deve favorire la crescita dimensionale delle imprese, assisterle nella necessaria attività di espansione all'estero, al fine di difendere e riconquistare quote nel mercato internazionale;
deve sostenere le imprese più dinamiche;
deve promuovere, mettendo a frutto la base informativa di cui dispone, processi di aggregazione e di consolidamento tra imprese.
Un quinto ed ultimo punto fermo. Sono necessarie, da parte delle imprese, iniziative che puntino alla crescita dimensionale, all'innovazione tecnologica, allo sviluppo di nuove produzioni. Il settore creditizio continuerà a fornire le necessarie risorse al settore produttivo. Ma la finanza non può sostituirsi all'imprenditore nel perseguimento dell'innovazione, nella progettualità, nell'innalzamento della produttività.
Si vuol dire che la banca deve avere la capacità di condurre azioni e interventi che si sommino (rectius: si fondino organicamente) con quanto si muove da sé nel mondo imprenditoriale, in modo da far sistema fungendo da volano del mutamento7.
A questo punto sorge spontanea una domanda: chi all'interno del sistema bancario può assolvere al meglio i citati compiti? Le banche grandi, le banche medie o le banche piccole?
È logico ipotizzare che quelle più attrezzate siano le banche grandi, ma ben vengano le banche medie e piccole "illuminate" che si adoperano in tal senso.
Per spiegare la filosofia della "banca illuminata", faccio ricorso ad una fiaba.
Una contadina portava l'acqua dal pozzo a casa servendosi di due secchi, ciascuno sospeso all'estremità di un palo che lei portava sulla schiena. Uno dei secchi aveva un buchino, mentre l'altro era perfetto. Il primo perdeva lungo il tragitto la metà dell'acqua; il secondo neanche una goccia. Il primo secchio si vergognava del proprio difetto; il secondo secchio era orgoglioso dei suoi risultati.
Un giorno, non si sa come non si sa perché, il primo secchio si fece forza e ne parlò con la contadina.
Le disse: "Ti sei accorta che perdo la metà dell'acqua lungo il tragitto"?
Rispose la contadina: "Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero e non dall'altra parte? Avendo sempre saputo del tuo difetto, ho piantato dei semi di fiori dalla tua parte del sentiero e tu li hai sempre annaffiati. E quei fiori, bellissimi, li ho portati a casa, rendendola molto più accogliente".
La morale della fiaba è che abbiamo bisogno di tante banche, non ottimiste a tutti i costi, non pessimiste sempre e comunque, ma sagge e aperte al dialogo con le imprese . . . . come la contadina.
In Italia abbiamo bisogno di tante imprese consapevoli dei propri vantaggi competitivi (in primis il made in Italy) e dei propri punti di debolezza, che puntino a migliorarsi senza soluzione di continuità.
Concludo con tre appelli e una preghiera:
Imprenditori "nascosti" del made in Italy, ovunque Voi siate (nel Salento o altrove): . . . . fate come Alice . . . . che da semplice pedina aspirava a diventare Regina;
Banchieri, fate come la Regina Rossa: prendete per mano le imprese meritevoli e aiutatele a correre, correre, correre;
Politici e Amministratori Locali: fate di tutto . . . . di più per agevolare la corsa delle Imprese illuminate e delle Banche illuminate.
La preghiera è di don Tonino Bello: si intitola "Preghiera sul molo", ma è conosciuta come "La Lampara". Leggerò le parti concernenti il capitale umano e il capitale relazionale, precedentemente menzionati:
"Signore, dai a questi miei amici e fratelli
la forza di osare di più,
la capacità di inventarsi,
la gioia di prendere il largo,
il fremito di speranze nuove.
Il bisogno di sicurezze li ha inchiodati a un mondo vecchio . . . .
Dai ad essi, Signore, la volontà decisa
di rompere gli ormeggi,
per liberarsi da soggezioni antiche e nuove . . . .
Stimola in tutti, nei giovani in particolare,
una creatività più fresca, una fantasia più liberante
e la gioia turbinosa dell'iniziativa . . . .
Una seconda cosa ti chiedo, Signore.
Fa' provare a questa gente
l'ebbrezza di camminare insieme.
Donale una solidarietà nuova, una comunione profonda,
una "cospirazione" tenace.
Falle sentire che per crescere insieme
non basta tirar fuori dall'armadio del passato
i ricordi splendidi e fastosi di un tempo,
ma occorre spalancare la finestra del futuro,
progettando insieme, osando insieme,
sacrificandosi insieme".
1 Cfr. D. De Masi, "2010: il volto dell'Italia", Leonardo, ottobre 2006, pagg. 3-4. Chi ha pensato che il problema della "monnezza" riguardasse solo una certa zona del nostro Paese, è stato smentito dai fatti.
2 Cfr. M. Draghi, "Istruzione e crescita economica", Roma, 9 novembre 2006, pag. 8.
3 Cfr. L. Carroll, "Attraverso lo Specchio" (traduzione di Through the Looking Glass del 1896), Oscar Mondadori, 1978, pagg. 160-162.
4 Cfr. G. Corbetta, in "Postfazione", Campioni nascosti, Il Sole 24 Ore, 2007, pagg. 292-294.
5 Si rinvia F. Lenoci – G. Malerbi – S. Peola, Riforma dei distretti industriali e Basilea 2. Opportunità per imprese, banche e professionisti, Ipsoa, 2006.
6 Cfr. S. Rossi, "Crescita economica e struttura finanziaria: considerazioni sul caso italiano", in Atti della XL Giornata del credito – ANSPC, Roma, 8 marzo 2007, pag. 14, che così conclude: "In un'economia avanzata, che intenda sostenere il proprio sentiero di crescita attraverso l'innovazione, è necessario che il credito bancario sia affiancato da altri strumenti, da mercati dei capitali ampi e articolati".
7 Quando una banca è buona? La risposta esatta è . . . . quando conosce tutti i mercati del mondo. Quando una banca è grande? La risposta esatta è . . . .quando conosce anche il business dei propri clienti.
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