Una fascia cinge il fianco di Maria Ogni anno Merine, con impegno e devozione filiale, il 14 ed il 15 di agosto, rende onore alla sua Patrona, la Vergine Assunta in cielo. Tale bella sentita tradizione si perpetua da secoli e, anche quando la vita era grama e piena di stenti, giammai la gente semplice di Merine trascurava di rendere il doveroso omaggio alla sua Madonna bbedra. Questa familiare denominazione nasce sopratutto dalle belle fattezze impresse nel volto del simulacro, che si presenta particolarmente armonico in tutte le forme e dimensioni. Probabilmente di scuola napoletana fu modellata in cartapesta nella testa e nelle mani ed in telaio ligneo per tutto il resto del corpo, da sempre rivestito con preziose vesti e manto finemente ricamati in oro. Cinge il fianco sinistro del simulacro una fascia preziosa per fattura ed antichità, intessuta in seta ed oro, tipicamente orientale. E’ questa, elemento di radicata tradizione e di pietà popolare che si tramanda ancora di generazione in generazione, attraverso un racconto che ha anche dei legami di realtà con gli avvenimenti storici. Oggi tale racconto è stato rivisto unicamente per quanto attiene l'organizzazione logica e l'impostazione lirica, senza che abbia subito alterazione alcuna l'aspetto contenutistico. Ciò per evitare le spesso emergenti confusioni che, inevitabilmente vengono a crearsi allorché tutto è affidato al racconto verbale, senza che sia codificato a testimonianza. Per pervenire alla stesura della storia te la fascia, che per ragioni di spazio non riportiamo, poiché si compone di ben 40 quartine endecasillabi, è stato necessario un lungo, paziente e minuzioso lavoro di ricerca, di confronto e di ricostruzione dei fatti semplici, talvolta anche con interpretazioni falsate e personali e, spesso, con azzardate congetture, effetto tipico del tramandare per via orale. Riportiamo il racconto che, tra leggenda e tradizione ha soltanto la fascia a testimonianza. Durante una delle tante incursioni saracene che avevano preso di mira le coste del canale di Otranto e s’internavano fino alle nostre terre, una truppa di soldati, dal volgo chiamati Turchi, giunse nel circondariato di Merine, facendo prigioniero un giovane pastore, il giovane era chiamato Oronzo soprannominato l'afrecanu. Al momento di entrare nel casale di Merine, proprio alle porte una fitta nebbia li avvolse, costringendoli ad indietreggiare sulle coste d’onde erano venuti e, portandosi dietro il giovane prigioniero, sciolsero le vele per far ritorno in patria. Giunti in territorio turco, il giovane fu condotto alla corte del sultano che, presolo in simpatia, lo tenne con sè. Tra il giovane e la figlia del sultano venne ad instaurarsi un sincero rapporto di amicizia da cui nacque l’amore. La fede che sosteneva il giovane merinese fu tanto forte, da convertire al cristianesimo la principessa, ed insieme coltivarono una profonda devozione alla Vergine Maria. Venuto a conoscenza del legame amoroso fra i due, il sultano li ostacolò tenacemente, in quanto inconcepibile l’unione di una principessa con uno schiavo. I due, allora, vedendosi fortemente osteggiati, si impadronirono di un’imbarcazione e di nascosto, fecero rotta verso il mare aperto, con la speranza di raggiungere i nostri lidi. La fuga accese ancor di più l’ira del sultano, che allestita una flotta, implacabile si diede al loro inseguimento. La fanciulla, scorta all’orizzonte la bandiera con la mezza luna delle paterne navi, cosciente del pericolo che incombeva particolarmente sul giovane, gli intimò di salvarsi e, disfattasi amorosamente dalla fascia che la cingeva, gliela donò quale mezzo di salvataggio, animata da tanta fede, soprattutto verso la protezione della Madonna. Rivolgiti a Maria, ella disse, ti salverà e quando sarai giunto nel tuo luogo natìo, donagliela, affinché il mondo duri. Con grande coraggio il giovane affrontò il mare e le sue insidie, mentre le navi nemiche erano all’inseguimento. Giammai lo abbandonarono la fede ed il ricordo della sua protettrice. la Vergine Assunta, che continuamente invocava. Stringendosi, allora sempre più alla fascia, miracolosamente toccò la spiaggia, nei pressi di S. Cataldo. Da qui scorse le navi del sultano che avanzavano e, ancor più con fede implorò l’aiuto di Maria. Una tempesta si scatenò, dal cielo sembrava piovesse fuoco, un vento impetuoso sconvolse il mare, costringendo la flotta inseguitrice a prendere il largo. Il giovane potè, così, ritornare nel suo borgo natìo dove, con profonda gratitudine, si gettò ai piedi del simulacro della Vergine Assunta, che cinse con la fascia della salvezza e, fedele a quanto le aveva raccomandato l’amata, ripeté il voto: Matonna bbedra, tienite sta fascia Comu ringraziamentu e ddeuzione e fenca è bbiu e bberde lu mundu, niscinnu mai cu tte la pozza lliare. La fascia, che in tutta la sua estensione misura m. 3,5 per 4 è, ancora oggi, per i fedeli di Merine, testimonianza di patrocinio ed impegno di venerazione e di rispetto. La tradizione orale tramanda degli episodi in cui si fa emergere l’attaccamento della Vergine Santissima a detta fascia: si dice, infatti, ad esempio, che una volta in cui nell’adornare il simulacro con gli abiti della festa, nella ricorrenza dell’Assunzione, si tralasciò di mettere la fascia al fianco della Madonna, avvenne un prodigio: improvvisamente il cielo si oscurò e piovve a dirotto, mentre la statua che stava per essere portata in processione, divenne pesantissima. Allorché ci si accorse che mancava la fascia, non messa, perché ritenuta sbiadita dal tempo ed inadeguata, perciò, aggiunta la fascia agli abiti festivi del simulacro, l’acquazzone cessò immediatamente e la Vergine ritornò leggera come prima. La tradizione vuole ancora che, proprio nel punto in cui comparve la fitta nebbia che bloccò l’avanzata dei Turchi, per volontà della popolazione, sorgesse una conella votiva, ormai inesistente; e successivamente, attigua a questo, l’attuale cappella dedicata a Maria Santissima di Costantinopoli. E’ ancora presente in Merine il detto: Sia ca sta ccalanu li turchi, allorché fitta nebbia av volga il paese. Pare anche che, proprio in occasione della circostanza prodigiosa della salvezza del giovane e del paese dai turchi, il titolo della parrocchia fosse convertito da Maria SS. Assunta in Santa Maria delle Grazie. Anche l’Osanna (Sannà) di Maria, secondo le testimonianze delle persone più anziane, venne eretto, nella piazza intitolata appunto a Maria SS. Assunta proprio in memoria e devozione per il di Lei patrocinio. Questo monumento, da restituire al suo originario decoro è rimasto sempre caro alla gente di Merine, che ne ha effettivamente impressa l’antica struttura ed è segno di rispetto e devozione, pur mancando della statuetta in pietra della Madonna. Ne è prova l’usanza di fare il giro te lu Sannà durante ogni corteo funebre, quale estremo saluto del defunto alla sua protettrice.