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Mediterraneo e Balcani: una storia comune

Data: 03/03/2006 - Ora: 11:56
Categoria: Cronaca

Convegno internazionale - Brindisi, 3-4 marzo 2006

"L'idea di organizzare un convegno internazionale di questa portata quale momento di presentazione del Centro studi strategici euromediterraneo rappresenta una importante occasione di confronto e di approfondimento per enti locali, istituzioni, addetti ai lavori e studiosi. Molte e particolarmente rilevanti, infatti, sono le implicazioni sociali, culturali ed economiche che un tema come quello in discussione pone alla nostra attenzione. Vorrei iniziare la mia breve riflessione con una constatazione: mai come in questi ultimi anni, i riflettori dei mezzi di comunicazione di massa, degli operatori economici, vorrei dire degli Stati e dei governi, si sono accesi sul Mediterraneo che ha assunto una centralità e un ruolo strategico impensabili fino a qualche decennio fa. Non si tratta, se ci riferiamo ai processi di globalizzazione, di una centralità che riguarda solo ed esclusivamente i traffici commerciali e quindi l'economia. Certo, anche questo aspetto non va trascurato ed anzi siamo tutti impegnati a dare un impulso positivo in tal senso perché a nessuno di noi sfugge l'importanza della posta in gioco e le possibili ricadute per i nostri territori. Tuttavia, la natura dei rapporti storicamente instaurati dall'Italia, dalle regioni meridionali e dalla Puglia in particolare con tutti i paesi che si affacciano sulle sponde di quello che i romani chiamavano "Mare nostrum" ci richiama necessariamente ad un comune impegno teso innanzitutto a favorire e promuovere il dialogo tra culture diverse. Mi permetterete, qui, di fare riferimento alla grandiosa e suggestiva metafora di Carl Schmitt quando ha confrontato la dimensione dell'oceano e quella del Mediterraneo. Per Schmitt l'oceano è il luogo della non-politica perché non conosce confini: è lo spazio dell'assenza di identità, della indifferenziazione degli uomini e della omologazione culturale. È una superficie liscia e amorfa, presente ovunque sul pianeta senza determinazioni significative, che non può essere né abitata né coltivata; l'oceano è lo spazio dei comportamenti esplorativi, della conquista senza misura e senza regole. Di contro, il Mediterraneo, come suggerisce il suo stesso nome, è un mare fra terre, un mare che le divide e le collega nello stesso tempo; è un mare diverso dagli altri perché porta dentro di sé il problema del rapporto fra identità diverse, della loro difficile ma necessaria convivenza. È un pluriverso irriducibile di popoli e di lingue che nessun assetto geopolitico può ridurre ad unum. Tutto ciò, va detto per inciso, non ci ha però impedito di allacciare relazioni promuovendo feconde contaminazioni in più campi dell'esperienza umana. Per fare solo un esempio, non possiamo dimenticare che i grandi testi della sapienza ellenica sono arrivati all'Europa occidentale grazie a traduzioni di traduzioni, e grazie alla mediazione di grandi filosofi arabi come Avicenna ed Averroè. Ecco, è a questa ricchezza, a questi legami, a questa complessità che dobbiamo noi tutti volgere lo sguardo per comprendere le dinamiche in atto per poi individuare possibili azioni comuni nella definizione di politiche culturali, sociali e commerciali. Per tutti, la consapevolezza che proprio il Mediterraneo, come già prima richiamavo seppure in altri termini, è destinato a diventare crocevia dei destini di buona parte dell'umanità: uomini e donne che attraversando queste acque sognano un futuro migliore, cercano un'occasione di riscatto o, al contrario, tornano nella propria terra per far fruttare talenti e saperi acquisiti altrove. I paesi balcanici, ovviamente, sono a pieno titolo i nostri interlocutori privilegiati perché protagonisti di questa storia, attori principali di una prospettiva di sviluppo da costruire insieme. Del resto, proprio l'identità europea è fondata sui trasferimenti da una sponda all'altra, sugli scambi, sugli incroci: il suo eroe è Ulisse, uomo della partenza e del ritorno, che impiega dieci anni per arrivare ad Itaca. Se questo è il contesto nel quale siamo chiamati a misurare i nostri sforzi e la nostra azione, è chiaro che il contributo di lodevoli iniziative come questa risulta determinante."

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