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Data: 07/03/2003 - Ora: 13:02
Categoria:
Cultura
Lo sguardo ritorna insistente al volto di Beatrice, più in luce del resto della figura: solo da esso, infatti, promana tutta la sensualità da naiade di Beatrice: esso solo, sembra voler dire l’artista sovrailluminandolo, racconta. Ma in un certo senso, oltre il volto, di "Beatrice" racconta molto anche il nome: colei che causa beatitudine, che fa essere beati. Sembra volerci ricordare che la beatitudine è una città invisibile dell’animo a cui giungere solo dopo essersi lasciati alle spalle le pastoie della materia.
Sarebbe errato e sbrigativo estrapolare da "Beatrice" la Concezione della Donna di Claudia Giannaccari; non così affrettato però mi sembra ritenere che l’artista ne abbia voluto rappresentare una Proiezione, ciò che della Donna è diafano invitante rarefatto. Beatrice è atemporale e antinarrativa: non fa niente, non sta da nessuna parte, la sua giovinezza è sfuggente e indefinibile, questo suo piccolo volto è illuminato e allo stesso tempo illumina lo sguardo dello spettatore. La mostra-"Beatrice" è la rappresentazione di un atto unico pittorico sulla quintessenzialità della donna, un distillato di femminilità che si disperde, si decostruisce in dieci impalpabili e incantevoli quadri.
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