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Data: 24/10/2002 - Ora: 09:01
Categoria:
Politica
«Noi non abbiamo tesi da difendere – insiste Pittau presentando il testo – ma dobbiamo mettervi a disposizione una realtà». E la realtà è che «non è il numero degli immigrati che crea la paura, ma l’assenza di una adeguata politica sull’immigrazione». A buon intenditor poche parole, sembra suggerire a Mantovano, seduto sul palco. E al sottosegretario cominciano a fischiare le orecchie.
La platea è piena, molti sono costretti a restare in piedi e nei vari interventi le critiche al governo sulla politica per immigrazione non fanno che susseguirsi: la legge non è stata discussa con le associazioni di volontariato, non è stato stabilito il decreto flussi per il 2002 e i sei mesi previsti per trovare lavoro sono troppo pochi, dicono i rappresentanti Caritas. «Se Bossi sostiene che i "vescovoni" creino disordine – dice Monsignor Benito Cocchi, presidente della Caritas – vuol dire che sono utili». Applausi. E poi: «L’immigrato è ridotto a soggetto utile solo se produce ricchezza». Ancora applausi. Dopo gli interventi dei rappresentanti della Caritas, prende la parola lo straniero, l’alieno Mantovano, al quale spetta l’arduo compito di parare i colpi.
Sa di non giocare in casa e allora ringrazia e tenta una captatio benevolentiae: «La leggenda narra che quando i piemontesi cinsero d’assedio Gaeta, durante questa resistenza del profondo Sud (che ritengo eroica), i soldati napoletani si recarono da re Francesco II e gli dissero: "Maestà, abbiamo finito le munizioni". E la leggenda vuole che il re abbia risposto: "Facite ‘a faccia feroce". Questo per suggerire di mettere tutti da parte la faccia feroce e cerchiamo di parlare dei fatti». Così Mantovano, dopo questo espediente retorico, comincia a parlare del rapporto coi paesi di provenienza che non deve essere ricattatorio: «Noi – dice - non possiamo dare aiuto e ricevere in cambio illegalità». Tutto fila liscio, anche quando Mantovano cita l’adesione alla normativa europea. La gente ascolta . Mantovano insiste sulla maggiore severità nella repressione dei trafficanti e sul diritto d’asilo. Ma è quando comincia a discorrere della regolarizzazione degli immigrati che comincia il brusio. «Rivendico il dato molto positivo della regolarizzazione che è una cosa diversa dalla sanatoria. La regolarizzazione collega la presenza sul territorio nazionale a un rapporto di lavoro serio, certo, che si traduce in un contratto di lavoro».
Quindi le scuse non richieste che tradiscono, in fondo, un po’ di malafede: «L’obiezione è che gli imprenditori stanno costringendo i lavoratori a versare loro i contributi – aggiunge Mantovano, cominciando ingenuamente a svelare le tare della Bossi-Fini – ma questo tecnicamente si chiama estorsione e chi lo denuncia sa che interverranno le forze dell’ordine». "Chi lo denuncia?" si comincia a bisbigliare dalla sala. «Sì, certo, denunciare questi fatti» insiste Mantovano, candidamente. «Il sistema è complesso, nel senso che il datore di lavoro può anche disinteressarsi e dire: ora lo licenzio e dopo di che assumerò un altro in nero. Ma la legge punisce pesantemente chi fa questo tipo di attività, con la pena da tre mesi a un anno». Sale il brusio. «E il datore caccia chi lavora!» conclude qualcuno dal fondo della sala chiedendosi se non sia il caso di affrontare il problema dell’immigrazione anche dal punto di vista dell’immigrato. Applausi.
Per Mantovano il resto dell’intervento è tutto in salita, perché il re ormai è nudo. La Bossi-Fini non è una legge solidale, dicono in molti. E cos’è la solidarietà lo spiega, nel proprio intervento, una giornalista albanese, Claudia Bumci, che racconta un aneddoto cinese: «Nell’inferno cinese si mangia tutti attorno alla propria tavola, ma le bacchette sono troppo lunghe e gli ospiti non riescono a mangiare il riso. Nel paradiso cinese il problema è lo stesso, ma chi mangia porge il riso a quello che ha davanti. Così mangiano tutti».
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