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L'avvenire dell'Europa, c'era una volta l'immigrazione

Data: 27/06/2002 - Ora: 12:09
Categoria: Politica

C’era una volta l’immigrazione. Ed era ancora relativamente facile affrontare i problemi ad essa legati. Oggi il dibattito è già altro. Riguarda la pluralità culturale e religiosa, oltre che seri problemi sociali. E senza neanche più la scusa della cittadinanza: perché in molti paesi la maggior parte degli immigrati, stranieri non sono più. E comunque non è questo che fa discutere. (Gabriele De Blasi)

Che cosa significa tutto ciò? Che la presenza di persone di cultura, etnia o religione diverse da quelle della maggioranza sta diventando fisiologia delle nostre vecchie nazioni europee. Che "nazioni" non sono più: lo stato si sta emancipando dalla nazione. Anche nelle sue strutture profonde.
Le differenze non le hanno inventate gli stranieri. C’erano già all’interno delle nostre società. Lo sanno bene gli appartenenti alle minoranze, marginalizzati, quando non discriminati. E molte sono il frutto di un’evoluzione interna recente. I neo-immigrati le hanno solo rese più visibili e aumentate di numero. Il che non è poco. Anche per le società vale il principio che, oltre determinate quantità, è la qualità che cambia. Questo non significa che l’"aria sociale" si stia in qualche modo inquinando; magari si profuma, però certamente cambia.
E il risultato è che si è manifestata la reazione. Normale, di fronte ad una trasformazione così evidente. E che tutto bisognerebbe fare tranne che demonizzare. Il turbamento di fronte al cambiamento del paesaggio è, infatti, esso stesso fisiologia. Anche se assume volti spiacevoli. Come quello di Le Pen in Francia: che tuttavia non riassume nei suoi slogan il sentire di un francese su sei che lo ha votato. O quello dello sfortunato Pim Fortuyn. Domani troverà altri canali per emergere. Perché deve emergere. Questa reazione è parte del problema, certo; ma anche della sua soluzione, che non deve essere contro di essa, bensì "dentro". Del resto l’inquietudine è assai più diffusa del dato elettorale che la interpreta.
Insomma, non solo la diversità culturale aumenta: anche il conflitto sociale aumenterà. Ma può trovare momenti di gestione. E di soluzione. I conflitti hanno, infatti, una funzione, come sappiamo bene dalla vita di coppia e familiare: far emergere le tensioni latenti e imparare a tener conto delle sensibilità dell’altro. Ed è da essi che nascono le soluzioni.
Il conflitto che oggi si manifesta ha bisogno appunto di questo: di non essere negato; di essere nominato per quello che è e non in altro modo; ma anche di essere gestito, guidato: dai ceti intellettuali, da quelli politici che, invece, hanno brillato per la loro inconsistenza.
La società è plurale. Ma è il momento di una discussione franca su come vogliamo che sia. Per il bene del bene comune.

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