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Data: 19/03/2003 - Ora: 10:00
Categoria:
Politica
Raccontano che "il sogno della pace è finito", che al largo del Kuwait ci sono "molte navi da guerra statunitensi". Spiegano che i civili che hanno lasciato in Iraq e Kuwait sono "molto contrariati per la decisione angloamericana" di scatenare la guerra e che sia in Kuwait sia in Iraq "si respira aria di incertezza perché non si sa che cosa accadrà nelle prossime ore". Nonostante siano stremati dal lungo viaggio parlano della propria esperienza i primi 136 osservatori dell’ Onu - tra cui tre italiani, assieme ad altri europei e a sudamericani - atterrati all’ alba all’ aeroporto civile ’Papolà di Brindisi con un charter di una compagnia egiziana.L’aereo era atteso ieri sera alle 20 ma è arrivato solo stamane dopo aver cambiato più volte il piano di volo, forse per motivi di sicurezza: «ci hanno detto - spiegano alcuni osservatori - che l’Arabia saudita non ha dato il permesso al sorvolo, e poi abbiamo fatto uno scalo tecnico al Cairo». Si tratta di personale dell’Onu che operava al confine tra Kuwait e Iraq con compiti di ’peacekeeping’: sono stati evacuati in tutta fretta nelle ultime ore prima dell’ inizio del conflitto contro le truppe di Saddam Hussein.
Il primo a parlare con i giornalisti presenti in aeroporto è il capitano dell’ esercito italiano Angelo Iachetti che si dice «dispiaciuto» perché «la situazione è precipitata all’ improvviso». «Rimovendo la missione dell’ Unicom - sottolinea - si rimuove qualcosa che si interponeva tra due Stati, Kuwait e Iraq, e che in qualche modo garantiva il mantenimento della pace. Ora in quelle zone, dove noi osservatori operavamo dal 1991, la gente è molto dispiaciuta, contrariata. Si respira aria di incertezza e c’ è molta, tanta tensione perchè non si sa che cosa accadrà nelle prossime ore, non appena scadrà l’ ultimatum del presidente Bush». «Lì - racconta il capitano Iachetti - abbiamo lasciato amici che lavoravano con noi nel deserto e che condividevano con noi gli ideali della pace. Purtroppo, mantenere la pace alla quale tutti noi lavoravamo non è stato possibile. Vedremo ora che cosa accadrà».
Oltre che di gente contrariata un osservatore dell’Onu, un cittadino sudamericano che non vuole dire il nome, racconta di persone che si sentono abbandonate: «mentre noi lasciavamo la zona, la gente piangeva. Una donna mi ha detto: finché c’eravate voi la guerra non ci sarebbe stata, ora è tutto finito». «Questo - conclude intristito - ci dispiace molto, perché non doveva finire in questo modo».
Pieno di ricordi e di emozioni è anche il ricordo dell’ altro italiano, il capitano dell’ esercito Giovanni Cappello: «Sono stato per quattro mesi nel deserto per partecipare a quest’operazione di peacekeeping. Nell’ ultimo mese abbiamo capito che la situazione internazionale stava precipitando perché anche l’area accanto a quella demilitarizzata è stata dichiarata ’restricted area’ e non abbiamo visto più nessuno».
Facile prevedere che tutti e 136 gli operatori dell’Onu arrivati oggi, assieme agli oltre 300 che giungeranno con due voli previsti per il tardo pomeriggio e la notte prossima, siano molto legati alla loro missione. «Non solo - spiega il capitano Cappello - ma io e i miei colleghi pensiamo che il soldato del 2000 non sia un guerriero: è uno che tiene molto al ’peacekeeping’».
Per mesi i caschi blu hanno lavorato al confine tra Iraq e Kuwait bonificando strade minate e ricostruendo tratti stradali distrutti dalla guerra scatenata nel 1991 dagli Stati Uniti contro le truppe di Saddam Hussein. Hanno lavorato per il mantenimento della pace. «Ora invece - conclude un casco blu sudamericano - mi hanno detto che al largo del Kuwait ci sono molte portaerei statunitensi pronte alla guerra. Il sogno è davvero finito».
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