Lamberto Dini ha lanciato ieri un segnale di disponibilità verso Belgrado e in particolare verso Slobodan Milosevic, in una giornata che ha visto arrivare a Palazzo Chigi una lettera del presidente americano che invita l'alleato italiano alla "fermezza" nei confronti del leader serbo. Durante una pausa dei lavori del consiglio dei ministri degli Esteri dell'Unione europea il ministro italiano ha confermato che l'uomo forte della Serbia è e deve restare "un interlocutore" e che occorre arrivare a una pace "negoziata e non imposta". Dini ha anche ribadito che l'attuale posizione del governo di Belgrado non è sufficiente per arrivare alla pace, ma ha parlato di tre "condizioni minime" (stop alla repressione nel Kosovo, ritiro delle forze serber, forza internazionale di controllo), dalle quali manca apparentemente quella di una soluzione politica "nel quadro politico" degli accordi raggiunti a Rambouillet. (MN) In mattinata, parlando nella base aerea di Aviano, il ministro della Difesa americano aveva avuto parole durissime per Milosevic e aveva ribadito tutte le condizioni poste dalla Nato ai serbi, compreso il piano di autonomia di Rambouillet. Ma Dini è stato anche più preciso sostenendo che il negoziato di Rambouillet è fallito per colpa sia dei serbi, sia dei kosovari. A chi gli faceva notare che i kosovari avevano alla fine firmato il documento, il ministro degli Esteri italiano ha fatto riferimento a "codicilli" presenti nel testo che "non si conoscono" i quali conterrebbero un linguaggio che non esclude un referendum per l'indipendenza, fortemente voluto dai kosovari e inaccettabile per Belgrado.