Violentare una donna che si trova in condizioni di inferiorità fisica o psichica non è un'aggravante. Un'altra sentenza della terza sezione penale della Corte di Cassazione che non mancherà di fare molto discutere. Per la Suprema Corte il fatto che la vittima sia in condizioni di inferiorità fisica o psichica è solamente un elemento costitutivo del reato, come per una persona normale, e non un aggravante, in quanto "con l'articolo 609 bis del Codice penale, introdotto dalla legge sulla violenza sessuale del 1996, è stata eliminata la violenza carnale presunta in danno di soggetto psichicamente o fisicamente inferiore, volendosi tutelare la possibilità della persona inferiore di intrattenere rapporti sessuali da considerarsi leciti. Da ciò deriva che l'abuso in questione è elemento essenziale del reato, e non circostanza aggravante". La sentenza nasce dal ricorso del procuratore generale di Firenze contro il tribunale di Prato che non aveva riconosciuto l'aggravante a un uomo (condannato a 14 mesi di reclusione con la condizionale) che aveva violentato la fidanzata incinta al settimo mese di gravidanza, «nonostante che chiaramente, con parole e con pianti, la ragazza manifestasse il suo dissenso". Per i giudici di Prato si era trattato di violenza sessuale, ma attenuata: le attenuanti generiche perciò dovevano essere considerate prevalenti sulle aggravanti. Per la Corte di Cassazione "il ricorso è infondato, in quanto, nonostante l'errore in cui è incorso anche il tribunale» ad ammettere l'esistenza anche di aggravanti, "nessuna aggravante in questo caso è ravvisabile". (MN)