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Data: 19/11/2008 - Ora: 09:15
Categoria:
Cronaca
Ogni vivente è soggetto di diritti: un diritto primordiale è quello al nutrimento, qualunque sia lo stato di vita, sia esso forte e stabile, di chi cioè sa nutrirsi da solo, sia esso più debole e infermo
In merito agli sviluppi sul caso di Eluana Englaro, vicenda sulla quale nei giorni scorsi la giustizia italiana si è espressa in maniera definitiva attraverso una sentenza della Corte di Cassazione, l'Arcivescovo, Mons. Rocco Talucci, mentre invita i singoli e le comunità alla preghiera, propone le seguenti riflessioni: "Nell'epoca di ampio dibattito sul riconoscimento dei diritti, tra i più vari, della persona, appare quanto mai strano che si continui a discutere del diritto base, quello alla vita senza il quale gli altri mancherebbero di fondamento. Ogni vivente è soggetto di diritti: un diritto primordiale è quello al nutrimento, qualunque sia lo stato di vita, sia esso forte e stabile, di chi cioè sa nutrirsi da solo, sia esso più debole e infermo, di chi cioè per mangiare e bere ha bisogno dell'aiuto dell'altro. Per quest'ultimo può risultare faticoso curare l'infermo che non parla, non risponde, non chiede, non ringrazia. Non per questo l'infermo perde il diritto e il sano può voltargli le spalle! Quale uomo può sentenziare che si può sospendere la nutrizione? Quale uomo può negare all'altro questo diritto fondamentale? Chi si trova nel bisogno chiede aiuto: è il grido di ogni povero, anche di colui che preferirebbe morire piuttosto che essere povero. Nel momento in cui un uomo è incapace di provvedere a se stesso grida il suo bisogno a chi è capace di sostenerlo! Eppure gridiamo contro la pena di morte! Ed è giusto perchè la vita vale più del crimine eventualmente commesso.
Eppure "condanniamo" a morte i deboli che non sono capaci nemmeno di guardare negli occhi coloro che gli stanno facendo del male. La sofferenza toglie forse la dignità? Colui che soffre gravemente, è forse meno uomo degli altri? Ecco allora il vero momento della solidarietà umana, quella cioè di chi non lascia da sola una famiglia incapace di offrire sostegno a chi è nel bisogno. Lasciar morire, o peggio ordinarlo, è l'incapacità di amare, è la manifestazione della debolezza del diritto, è il rifiuto della pazienza e dell'attesa, è la rassegnazione della politica, il trionfo dell'egoismo, è la "non-cultura" della morte, è l'offesa della vita di ogni uomo. Vorrei ascoltare un Dio che si fa uomo e un uomo che vive secondo il Dio della vita.
Gesù diceva: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere. Quello che hai fatto al prossimo l'hai fatto a me!". È così che parla chi ama la vita. Anzi, è questa la vita! Il mio pensiero va a quelle migliaia familiari di uomini e donne che da anni vivono in coma, ma che sanno guardare, amare, assistere, sperare e condividere; sanno contemplare una vita che si spegne, ma non sarebbero mai capaci di spegnere quanto è ancora da vivere. Eppure con le lacrime sanno sorridere e cantare per offrire col cibo e la bevanda la musica della vita. Permettere la morte, non comprendo con quale legge e con quale autorità, è una offesa all'enorme schiera di persone che, nel silenzio e nell'amore, preferiscono soffrire pur di rispettare la vita. Il tempo dei diritti è anche tempo di solidarietà. In questo tempo bello non è possibile distruggere il diritto e negare la solidarietà. Chi è giudice della vita? L'uomo è tale fino all'ultimo respiro che prima o dopo avverrà. A nessuno è lecito intervenire con violenza al penultimo o al terz'ultimo respiro in cui ancora pulsa la vita".
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