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Calcio/L'Editoriale a cura di Emilio Faivre

Data: 13/06/2001 - Ora: 13:37
Categoria: Sport

Il sole cocente su spalle bruciate, a posare i suoi riflettori impietosi su lacrime amare, su quel boccone che non scende più. Il film della gara appena conclusa è in proiezione in 4mila teste, sospeso sulla curva San Luca del Dall’Ara. Come un incubo in una stanza illuminata dai primi bagliori dell’alba, dopo un risveglio ancora avvolto dalle spesse nebbie di un sonno convulso. La trepidazione è immensa. La partita più crudele di una stagione surreale e della storia degli ultimi anni s’è consumata sulla giostra di sensazioni troppo violente, in un susseguirsi turbinoso di emozioni sfrenatamente contrastanti, in un eccesso di stridori. Impossibile credere davvero che in un pugno di minuti possano essere racchiuse la gioia più grande e lo sconforto più cupo.

L’abbraccio alla curva del capitano avrebbe meritato forse un applauso ancor più caloroso di quello tributatogli, se non ci fosse stata di mezzo l’assurdità di una storia inverosimile, indigeribile. Viali è stato uno dei pochi uomini genuini di una banda di solisti senza collettivo, che negli ultimi mesi ha deciso di recitare a soggetto, piuttosto che sviluppare un copione. Ponendosi esattamente al lato opposto di quella squadra che l’anno scorso, tecnicamente meno dotata, non sfiorò alcun miracolo – come quest’anno, ad un certo punto del campionato-, ma mantenne un andamento quasi regolare. Soprattutto, mantenne accesso lo spirito di gruppo, il collettivo. Evitando pericolosi tracolli dell’ultim’ora. Episodio emblematico di quella stagione fu l’abbraccio della squadra a Chimenti, la solidarietà vera del gruppo al compagno reduce da una domenica sfortunata. La storia di quest’anno è tutta scritta nella famosa, mancata esultanza al gol di Conticchio. Simbolo di una frattura interna forse insanabile.
Solo pochi mesi fa, si parlava di mezzo miracolo della sana provincia calcistica italiana. Il Lecce ed il Perugia, si diceva, e più in alto l’Atalanta, stavano rendendo il campionato un catino ribollente, per le grandi in cerca di fortuna. A crollare è stato il Lecce, a causa di meccanismi ancora non del tutto chiari. E che forse è meglio non cercare di svelare. Non ancora. La meta, tutto sommato, è sempre lì. A portata di mano. Anzi di piede. A patto che sia miracolato.

Peccato che di mezzo ci sia la Lazio, infatti. Le cui speranze di agguantare in extremis lo scudetto sono più basse di quanto non dicano le statistiche. Ma che pure esistono, e non si vede perché non debbano essere prese in considerazione. Cavasin, probabilmente nel tentativo di sollevare il morale, s’è lasciato andare sui giornali a dichiarazioni che, lungi dal rinfocolare gli animi mai così scettici della tifoseria, hanno suscitato piuttosto l’effetto di commenti ironici o sconcertati. Battere la Lazio è un’impresa che si può e si deve raggiungere, certo. Lo stabilisce la regola della rotondità del pallone. Solo, sarebbe sufficiente ritirarsi in convento o su un monte o in una grotta. In qualsiasi luogo ispiri una contemplazione ascetica, per una settimana e, una volta tanto, costringa società e giocatori a chiudersi in uno dei rarissimi silenzi stampa davvero utili alla causa. La piazza è stanca di parole, vaneggiamenti, alibi e proclami. Vuole solo la salvezza.
Cos’è piaciuto Ha convinto la verve ed il movimento continuo di Vasari, che ha creato grandi scompigli nella difesa, fino a provocare il rigore del momentaneo vantaggio sul Bologna. Insieme a Vugrinec, ha formato un duo d’attacco improvvisato, ma per la prima volta piuttosto affiatato. Ancora una volta Viali, su punizione, ha saputo cogliere il jolly con una prodezza. Tanta rabbia e determinazione, per il capitano di una squadra alla deriva, che ha tentato di salvare usando ogni arma.
Cosa non è piaciuto Pessimo Mateo. Il fallo di mani che provoca il rigore è di un’ingenuità inaccettabile. Pessimo Dainelli: si fa stuzzicare da Cirpiani e lo colpisce stupidamente con una testata, lasciando il Lecce in dieci. Pessimo Ingesson: batte il più brutto rigore della sua vita, nel momento decisivo di un anno intero. Onore comunque al suo coraggio, alla responsabilità assunta nel calciare quel pallone maledetto. Ma anche ai più esperti possono tremare le gambe.

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