L’Istituto tecnico agrario Umberto I (Ita) di Andria apre alla cultura esterna con la mostra di Leonardo Lonigro («Pagliacci d’argilla - tra i colori, la poesia della natura») e in occasione del Natale ospita un allestimento che rievoca gli strumenti d’epoca cari alla Civiltà contadina (a cura degli studenti e docenti dell’Agrario). L’inaugurazione delle due mostre (pittura e civiltà contadina) è prevista per domenica prossima (23 dicembre) alle 19, alla presenza del vescovo di Andria Raffaele Calabro, del sindaco Vincenzo Calderone e dell’on. Giannicola Sinisi. Intervengono inoltre, l’assessore comunale alla cultura (Pina Marmo), che patrocina l’evento, inserito tra l’altro nelle iniziative natalizie («Gran Natale 2001») del Comune di Andria. Presenti anche, l’assessore regionale all’agricoltura (Nino Marmo), l’assessore alla Pubblica istruzione della provincia di Bari (Luigi Terrone), il preside dell’Ita Gerardo Fornelli e il presidente del Consiglio direttivo dell’Ita, Savino Inchingolo. Presentazione della serata e introduzione critica a cura del giornalista Eustachio Cazzorla.
Le due mostre viaggiano in parallelo e restano aperte fino al 6 gennaio (orari: 18-21, tutti i giorni, e nei festivi apertura mattutina dalle 10.30 in poi) in quanto i temi trattati da Lonigro (pittore andriese) si rispecchiano e quasi si rimaterializzano nella mostra degli studenti dell’Ita. I personaggi d’altri tempi come il cicoraro, il cestinaro, il «cunzapiatti», l’ombrellaio e gli stessi pastori della Murgia, ormai pressocché estinti nel mondo attuale, vengono rievocati sulla tela e quasi per incanto, nelle sale al piano terra dell’Istituto agrario di Andria, i loro oggetti (il grande ombrello artigianale dei pastori, gli arnesi utilizzati per raccogliere erbe commestibili, il corno con il sale per le bestie, bisacce e bastoni) ritornano dal passato grazie all’opera di ricerca di docenti e ragazzi. Da segnalare in anteprima, le foto della masseria La Monica, nei pressi di Castel del Monte (con una gigantesca colombaia, forno e cisterna pubblica al centro di uno jazzo circondato da case coloniche) e le fotodenuncia del degrado strutturale della villa signorile Trianelli (VX-XVI secolo), in abbandono. Le balaustre barocche, ad esempio, sono state tutte asportate come le non poche chianche del piazzale.
E poi c’è un’ampia gamma di tini e tinozze per il vino, presse in legno per l’olio e aratri d’ogni genere (dei primi del secolo) appartenenti all’Istituto (allora noto come «Colonia Agricola») che dal 1884 in poi meritò anche all’estero (Liverpool, Bruxelles e Lille in Francia) non pochi premi per le proprie produzioni vinicole, per le uve, l’olio e per gli allevamenti di Bruna alpina in agro di Andria.
Tra i dipinti di Lonigro, da segnalare le opere che ritraggono i suoi tipici pagliacci, simbolo d’inquietudine in atmosfere compassate e silenti. Sembra malinconia e invece è vita. I pagliacci, perdono la loro maschera e acquistano il valore simbolico di moderni «scazzeriddi» (gli gnometti pugliesi), portatori, questa volta, del fardello e delle ambiguità del mondo contemporaneo. Ci sono poi scorci di Lucania e quel profilo inequivocabile, quanto immancabile, del Vulture, dove l’artista ha vissuto per lungo tempo. Paesaggi spesso in dissolvenza su nature morte in cui le tonalità del verde realizzano primavere crepuscolari. Vengono evocati anche i trulli andriesi e il Castello ottagonale di Federico II, mica così tanto lontano dalla sede delle mostre, la Madonna dei Miracoli, basilica pontificia su tre livelli, merita anch’essa una visita.